La somministrazione di una sostanza che stimola la produzione della
proteina ApoE, deputata all'eliminazione della proteina che forma le
placche amiloidi, ha permesso di osservare nel modello murino della
malattia un netto alleviamento dei sintomi comportamentali e del deficit
di memoria
(red)
L'uso di un farmaco ha dimostrato di riuscire a invertire rapidamente
nei topi i deficit cognitivi e di memoria causati dal morbo di
Alzheimer. Lo studio che ha portato a questo risultato è stato condotto
da ricercatori della Case Western Reserve University School of Medicine
ed è illustrato in un articolo pubblicato su "Science".
Nel 2008,Gary Landreth, che ha coordinato la ricerca, aveva scoperto che normalmente i livelli di proteina beta amiloide, il cui accumulo in placche è un tratto distintivo della malattia di Alzheimer, sono regolati da una proteina, la ApoE, utilizzata dall'organismo anche per il trasporto del colesterolo. Nei pazienti affetti dalla malattia, il meccanismo di eliminazione della proteina beta amiloide da parte della ApoE appare compromesso in varia misura e il rischio di contrarre l'Alzheimer aumenta se si è portatori di una variante del gene per la ApoE, quella rappresentata dall'allele apoE4.
L'espressione della proteina ApoE è peraltro indotta dall'azione di diversi recettori nucleari, e in particolare dei recettori X per i retinoidi (RXR) e dei recettori attivati dai proliferatori dei perossisomi (PPAR).
Nel 2008,Gary Landreth, che ha coordinato la ricerca, aveva scoperto che normalmente i livelli di proteina beta amiloide, il cui accumulo in placche è un tratto distintivo della malattia di Alzheimer, sono regolati da una proteina, la ApoE, utilizzata dall'organismo anche per il trasporto del colesterolo. Nei pazienti affetti dalla malattia, il meccanismo di eliminazione della proteina beta amiloide da parte della ApoE appare compromesso in varia misura e il rischio di contrarre l'Alzheimer aumenta se si è portatori di una variante del gene per la ApoE, quella rappresentata dall'allele apoE4.
L'espressione della proteina ApoE è peraltro indotta dall'azione di diversi recettori nucleari, e in particolare dei recettori X per i retinoidi (RXR) e dei recettori attivati dai proliferatori dei perossisomi (PPAR).
Nel nuovo studio, Landreth e colleghi hanno controllato, lavorando su
topi, che cosa può succedere quando si stimolano i recettori RXR in
modo da potenziare la quantità di ApoE prodotta usando una sostanza, il
bexarotene, già utilizzata nel trattamento di linfomi cutanei, che
manifesta un buon profilo di sicurezza e di effetti collaterali.
I ricercatori sono stati colpiti dalla velocità con cui bexarotene ha prodotto risultati: entro sei ore dalla somministrazione di bexarotene i livelli di amiloide solubile erano scesi del 25 per cento e l'effetto è durato fino a tre giorni.
I ricercatori sono stati colpiti dalla velocità con cui bexarotene ha prodotto risultati: entro sei ore dalla somministrazione di bexarotene i livelli di amiloide solubile erano scesi del 25 per cento e l'effetto è durato fino a tre giorni.
Parallelamente, sono stati osservati anche miglioramenti comportamentali: quando i
topi con l'analogo murino dell'Alzheimer trovano materiale adatto per la
la preparazione del nido (nello studio, della carta velina), non fanno
nulla per creare uno spazio adeguato dove allestirlo. Dopo sole 72 ore
dal trattamento con bexarotene, tuttavia, i topi hanno iniziato a
utilizzare la carta per fare il nido. La somministrazione del farmaco
anche migliorato la loro capacità di rilevare e rispondere agli odori.
"E'
una scoperta senza precedenti", ha osservato Paige Cramer, prima
autrice dello studio. "Finora, il miglior trattamento esistente per la
malattia di Alzheimer nei topi richiedeva diversi mesi per ridurre le
placche nel cervello."
Ma Landreth aggiunge: "Questo è uno studio particolarmente interessante e gratificante per la promessa di una potenziale terapia per la malattia di Alzheimer. Ma dobbiamo essere chiari: il farmaco funziona abbastanza bene nei modelli murini della malattia, ora l'obiettivo è verificare se agisca in modo simile negli esseri umani. Siamo solo in una fase iniziale del percorso dalla scoperta scientifica di base alla terapia."
Ma Landreth aggiunge: "Questo è uno studio particolarmente interessante e gratificante per la promessa di una potenziale terapia per la malattia di Alzheimer. Ma dobbiamo essere chiari: il farmaco funziona abbastanza bene nei modelli murini della malattia, ora l'obiettivo è verificare se agisca in modo simile negli esseri umani. Siamo solo in una fase iniziale del percorso dalla scoperta scientifica di base alla terapia."
Fonte: http://www.lescienze.it
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