Scompare il 'cane di quartiere' ma aumenta il fenomeno del randagismo canino e felino
Roma,
27 apr. - (Adnkronos) - Una volta in tutte le città italiane c'era il
"cane di quartiere", il randagio adottato dalla gente, coccolato, curato
e nutrito a turno. Chi non ha mai avuto a che fare con un Lucky o con
un Fortunato? Oggi se ne vedono sempre di meno, non perché il fenomeno
del randagismo sia stato debellato, ma solo perché la maggior parte
delle leggi regionali vietano la libera circolazione dei cani.
Eppure,
secondo un questionario dedicato al randagismo canino e felino
effettuato nel 2011 dall'Oipa, l'organizzazione internazionale
protezione animali, con il coinvolgimento di 50 sezioni regionali, tra
le problematiche collegate al randagismo solo il 3% indica
l'aggressivita' dell'animale. Secondo i dati del ministero della Salute
aggiornati al 2011, sono 95.000 i cani entrati nei canili sanitari di
tutta Italia ed esistono strutture che ospitano anche 2.000 cani. Un po'
troppi per garantirne il benessere. Ma la popolazione dei randagi è
sempre più numerosa, alimentata continuamente da "abbandoni, cucciolate
indesiderate degli animali domestici e cucciolate di randagi non
sterilizzati la cui conseguenza è quella di avere animali sempre più
selvatici", spiega all'Adnkronos Alessandro Piacenza, consigliere
nazionale dell'Oipa che si occupa proprio di randagismo da venti anni.
Secondo Piacenza, i risultati del questionario Oipa sono a dir poco
"allarmati e disarmanti": dalla Sicilia al Trentino, per il 65% dei
partecipanti il fenomeno del randagismo è presente nella propria zona
(provincia, regione o comune); le maggiori problematiche sono legate a
colonie di randagi gestite non correttamente dalle istituzioni, mentre
il servizio di cattura è attivo 24 ore su 24 (come previsto dalla
normativa vigente) solo nel 48% dei casi. Un altro problema riguarda la
gestione di questo servizio: veterinario nel 27% dei casi, privato per
il 28%, affidato a cooperative (10%) o associazioni animaliste (28%).
Sebbene la legge 281 del 1991 preveda all'articolo 4 che i comuni
gestiscano direttamente i canili in collaborazione con associazioni, o
che questi siano affidati a privati purchè in grado di garantire il
benessere degli animali e con l'obbligatorio intervento di volontari,
dal questionario dell'Oipa risulta che il 33% dei canili privati non
coinvolge affatto i volontari, "in contrasto con quanto prevede la
legge, quando invece la collaborazione del terzo settore è per noi
fondamentale", specifica Piacenza. Altro dato allarmante riguarda il
recupero comportamentale degli animali: il 43% delle risposte denuncia
la totale assenza di questa pratica che, invece, se applicata
aumenterebbe la possibilità di adozione dell'animale. In più, il 28% ha
segnalato strutture con problematiche quali mancanza di benessere
dell'animale, sovraffollamento o inadeguatezza. Per arginare il fenomeno
"basterebbe estendere e controllare l'applicazione del microchip -
spiega il consigliere nazionale Oipa - affidare ai comuni la gestione
diretta delle strutture in collaborazione con associazioni ambientaliste
e soprattutto eliminare il sistema delle convenzioni per numero di
animali ospiti, che incoraggia l'interesse a non dare via i cani o i
gatti perché rappresenta un vero e proprio business".
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