Randagio? Meticcio? Prego: Random Source 1 |
L’American Physiological Society (APS), una delle più grandi
associazioni americane per la promozione della ricerca biomedica, è
molto preoccupata: non senza motivo e non da ora. Le stanno portando via
i più importanti intermediari dell’acquisizione di cani e gatti da
parte degli istituti di ricerca a prezzo (relativamente) ridotto: i
famigerati B dealers. Per decenni – e ancora oggi – gli istituti di ricerca hanno avuto i loro propri allevamenti e si sono procurati anche direttamente animali presso canili e rifugi. Ma il maggior contributo è venuto e viene da fornitori professionisti, che il Dipartimento dell’Agricoltura (USDA) divide, secondo il tipo di licenza concessa, in due categorie: i commercianti di categoria A (class A dealers), che allevano e selezionano cani di razza destinati alla ricerca (purpose bred), e quelli di categoria B (class B dealers). I B dealers non allevano, ma si procurano a poco animali di qualunque origine, età, condizioni di salute, razza e non razza (random source). Lo fanno presso altri B dealers, presso rifugi pubblici e privati gestiti anche da associazioni, presso le associazioni stesse, presso aste, proprietari privati e allevatori amatoriali (tutto con licenza ufficiale). E capita anche che lo facciano – gratis – rispondendo ad appelli di adozione in rete, caricando alla svelta animali randagi e vaganti, facendo sparire dai giardini il cane o il gatto di casa. In questo sono aiutati dagli altrettanto famigerati bunchers, gli incettatori che lavorano con loro in subappalto. E poi rivendono ai laboratori. Con mutuo vantaggio: perché c’è una bella differenza per gli uni fra il prezzo pagato all’origine e quello riscosso alla vendita, per gli altri tra il costo finale di un cane A e quello di un cane B. Esempio aggiornato all’anno scorso: un cane giovane di media taglia costa al laboratorio 325-350 dollari se è B, 600-900 dollari se è A. Ma se è A non deve avere più di sei mesi e mezzo, perché poi il suo costo sale di 4,10 dollari per ogni giorno di vita (National Academy of Sciences, Scientific and Humane Issues in the Use of Random Source Dogs and Cats in Research, p.81).
E allora? E allora, dice la National Academy of Sciences, “in un
mondo ideale il costo non dovrebbe essere un fattore che influenzi le
decisioni sulla ricerca, soprattutto su quella fatta su animali.
Realisticamente, però, le risorse sono limitate e i ricercatori sono
vincolati da preoccupazioni finanziarie. Così, per l’uso continuato di
animali presi da venditori di classe B, che possono costare meno degli
animali presi da venditori di classe A, il costo è una ragione da
prendere potenzialmente in considerazione. Gli incentivi di tipo
finanziario all’uso di animali presi da venditori di classe B possono o
meno essere sostanziali, a seconda delle circostanze”. Forte e chiaro.
Scarsamente controllabili (e scarsamente controllati) dall’USDA, i B dealers
hanno lavorato a lungo con profitto. Negli anni 70-80 erano duecento
negli States e la ricerca con animali A e B era al suo massimo: nel 1976
furono usati complessivamente più di 210.000 cani. Poi la tendenza
cominciò a scendere. Tra i vari fattori, forse non furono determinanti
ma certo furono significativi gli interventi delle associazioni per i
diritti degli animali. Prima fra tutte la Humane Society of United
States (HSUS), che ha la bazzecola di 11 milioni di soci e che, anche se
sulla sperimentazione animale naviga a vista come tante altre
associazioni (anche quelle che l’antivivisezione la mettono sulla
bandiera), in questo caso si mosse e si sta ancora muovendo.
Finché non successe qualcosa che suscitò un uragano negli USA (e che molto volentieri ci augureremmo per l’Europa, dato che tutto questo ci sembra un copione già noto). Nel 2002 un volontario dell’associazione Last Chance for Animals si fece assumere sotto mentite spoglie nello stallo-fortezza di un grande B dealer dell’Arkansas e per mesi, con una camera nascosta, filmò più di settanta ore di illeciti e di molto peggio. Poi passò tutto al Procuratore generale. Il dealer fu condannato soltanto a una fortissima multa, ma perse la licenza. Il risultato più incisivo però fu sull’opinione pubblica e fu aiutato dall’uscita del documentario che presentò l’inchiesta, Dealing Dogs (http://www.hbo.com/docs/programs/dealingdogs/index.html).
Nel 2005 i cani usati divennero meno di 67.000, 38.000 dei quali
erano di classe B. Da allora, molti Stati hanno vietato ai canili la
vendita per la ricerca. I B dealers dediti a questo si sono ridotti in breve a meno di dieci, e non tutti sono fuori dai guai.
Perché questa lunga premessa? Perché è in questa situazione
difficile che l’APS cominciò a correre ai ripari con una serie di
appelli sulla necessità dei cani e gatti random source, di
origine casuale, per la ricerca biomedica: in questo articolo del 2006,
guarda un po’, dice che sono pochi, pochissimi, ma essenziali per
salvare vite umane che – si dice altrove – sarebbero altrimenti
distrutte. E nello sforzo di portare in primo piano l’assunto
scientifico stila per noi, sotto una luce finalmente chiara e fredda, il
catalogo delle ragioni per le quali, ebbene sì, i cani e gatti
qualunque sono fondamentali per la sperimentazione (tacendo quella
aggiuntiva, o fondamentale, secondo i punti di vista: il prezzo):
Perché c’è bisogno di cani e gatti di origine casuale?
I modelli animali di patologia offrono un mezzo importante per
reperire terapie per molte patologie. Un modello di patologia dovrebbe
essere una specie animale con caratteristiche biologiche che la rendono
sensibile a una condizione simile alla patologia che si studia. Cani e
gatti sono serviti come modelli di molte patologie, ma sono stati
particolarmente importanti per lo studio di patologie dell’apparato
cardiovascolare, digerente, muscolo-scheletrico e neurologico. Inoltre,
cani e gatti sono essenziali per la ricerca veterinaria.
La grande maggioranza degli animali usati per la ricerca – forse più del 95% - sono topi e ratti allevati appositamente. I cani e i gatti insieme rappresentano una frazione dell’1%. Circa due terzi di questi cani e gatti sono allevati espressamente per la ricerca. Gli altri sono animali non-purpose bred (allevati senza scopi specifici) o random source (di origine casuale), conosciuti anche come outbred (fuori allevamento) o mongrels (meticci).
I commercianti di classe A, o allevatori, vendono cani e gatti che
sono giovani e provengono da un pool genetico limitato. Fattori come
l’età e l’accoppiamento in consanguineità sono importanti da considerare
per stabilire il modello di ricerca. I caratteri tipici dei cani e
gatti allevati appositamente sono ideali per alcuni generi di ricerca,
ma non per altri. Per esempio, molte patologie dell’apparato
cardiovascolare, digerente e muscolo-scheletrico colpiscono gli umani
quando sono in età avanzata. Poiché gli animali allevati appostamente
per la ricerca sono giovani, non possono costituire buoni modelli di
ricerca per alcune di queste condizioni. La selezione genetica in
consanguineità, che è l’altro aspetto degli animali allevati
appositamente, è una caratteristica auspicabile per alcuni studi, ma può
anche non esserlo, perché questa selezione può produrre anche caratteri
separati che intralciano la ricerca.
In confronto, i cani e gatti non allevati allo scopo vengono da
retroterra genetici diversi e rappresentano un largo spettro di età.
Sebbene costituiscano una frazione minuscola di animali nella ricerca e
nella formazione medica, i cani e gatti random source giocano nondimeno un ruolo significativo.
Senza questi animali, ricerche importanti subiranno un ristagno. http://www.the-aps.org/pa/resources/bionews/classBdogs.htm Teniamo presente che tutto quel che stiamo riferendo, cifre comprese, riguarda solo la ricerca negli istituti biomedici pubblici: i National Institutes of Health (NIH), dipendenti dal Dipartimento della Salute. Silenzio totale sul resto, inclusa la sperimentazione nelle industrie che ovviamente fa salire di parecchio i parametri statistici (e lasciamo perdere qui anche i rapporti notissimi fra istituti di ricerca e industria). Comunque, l’APS insiste con maggior precisione quando piange miseria in un comunicato del novembre 2009: per la ricerca c’è bisogno urgente e crescente di cani B “molto anziani, o con patologie preesistenti ed esposizione a virus, allergeni o parassiti”. Lo fa esprimendo – dal suo punto di vista – il suo totale appoggio al rapporto pubblicato in quei giorni dalla National Academy of Sciences (NAS) su richiesta del Congresso degli Stati Uniti. Chiariamo, però. Il rapporto è redatto solo per rispondere a una domanda mirata: sono o no necessari i B dealers alla fornitura di animali random source per la ricerca? No, è l’ovvia risposta dopo anni di battage sull’argomento. Risposta che, sacrificando le pietre dello scandalo, soddisfa un po’ tutti. E si può ricominciare: perché la NAS suggerisce a questo punto ai NIH di cercare “alternative”. Per esempio, gli A dealers potrebbero lasciar invecchiare un po’ dei loro cani (magari venendo incontro sul prezzo)… oppure gli animali potrebbero essere forniti da “strutture di controllo degli animali”, da allevatori amatoriali, da proprietari filantropi che potrebbero fare un dono alla scienza… insomma, facciano i NIH uno “sforzo aggiuntivo” per individuare nuovi meccanismi allo scopo di rimpiazzare gli animali forniti finora dai B dealers. Saremmo più o meno alla situazione precedente, se non ci fosse una differenza significativa e geniale: l’abolizione del mediatore ufficiale e di ciò che rappresenta come danno d’immagine… e come spesa da dichiarare. Il resto, appunto, è immutato: come si voleva (comprese le vendite dei B dealers a tutti gli altri acquirenti che non siano i NIH). L’impatto fruttuoso su un’opinione pubblica americanamente contenta di ripulirsi la coscienza non elimina l’anagrafe canina privata e caotica, la soppressione facile, la vendita… semmai aggiunge un dettaglio: pare che molti, inorriditi all’idea che il proprio animale finisca alla sperimentazione, piuttosto che mollarlo in canile preferiscano abbandonarlo per strada. Proprio così. Tutto sommato, è un raccogliere il suggerimento del vicino Canada, dove non esistono ufficialmente i B dealers per la ricerca ma dove la provincia dell’Ontario, che è il modello industriale del Paese, impone per legge ai rifugi di vendere gli animali ai laboratori. E sotto certi aspetti è anche un avvicinarsi al sistema dell’Europa, che con la sua vecchia sapienza può suggerire molte soluzioni. http://www.newsweek.com/id/57139 American Physiological Society (APS): http://www.the-aps.org/pa/resources/bionews/randomsource.htm http://www.the-aps.org/press/releases/09/44.htm Humane Society of United States (HSUS): http://hsus.typepad.com/wayne/2007/06/b_dealers_a_cla.html http://www.humanesociety.org/news/press_releases/2009/05/class_b_dealer_system_unnecessary_052909.html http://hsus.typepad.com/wayne/2009/11/class-b-dealers.html National Academy of Sciences: http://www.nap.edu/catalog.php?record_id=12641 Fonte: http://traccediverse.blogspot.com/2010/01/randagio.html |
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