venerdì 27 aprile 2012

Scompare il 'cane di quartiere' ma aumenta il fenomeno del randagismo canino e felino

Scompare il 'cane di quartiere' ma aumenta il fenomeno del randagismo canino e felino
 
Roma, 27 apr. - (Adnkronos) - Una volta in tutte le città italiane c'era il "cane di quartiere", il randagio adottato dalla gente, coccolato, curato e nutrito a turno. Chi non ha mai avuto a che fare con un Lucky o con un Fortunato? Oggi se ne vedono sempre di meno, non perché il fenomeno del randagismo sia stato debellato, ma solo perché la maggior parte delle leggi regionali vietano la libera circolazione dei cani. 
Eppure, secondo un questionario dedicato al randagismo canino e felino effettuato nel 2011 dall'Oipa, l'organizzazione internazionale protezione animali, con il coinvolgimento di 50 sezioni regionali, tra le problematiche collegate al randagismo solo il 3% indica l'aggressivita' dell'animale. Secondo i dati del ministero della Salute aggiornati al 2011, sono 95.000 i cani entrati nei canili sanitari di tutta Italia ed esistono strutture che ospitano anche 2.000 cani. Un po' troppi per garantirne il benessere. Ma la popolazione dei randagi è sempre più numerosa, alimentata continuamente da "abbandoni, cucciolate indesiderate degli animali domestici e cucciolate di randagi non sterilizzati la cui conseguenza è quella di avere animali sempre più selvatici", spiega all'Adnkronos Alessandro Piacenza, consigliere nazionale dell'Oipa che si occupa proprio di randagismo da venti anni. Secondo Piacenza, i risultati del questionario Oipa sono a dir poco "allarmati e disarmanti": dalla Sicilia al Trentino, per il 65% dei partecipanti il fenomeno del randagismo è presente nella propria zona (provincia, regione o comune); le maggiori problematiche sono legate a colonie di randagi gestite non correttamente dalle istituzioni, mentre il servizio di cattura è attivo 24 ore su 24 (come previsto dalla normativa vigente) solo nel 48% dei casi. Un altro problema riguarda la gestione di questo servizio: veterinario nel 27% dei casi, privato per il 28%, affidato a cooperative (10%) o associazioni animaliste (28%). Sebbene la legge 281 del 1991 preveda all'articolo 4 che i comuni gestiscano direttamente i canili in collaborazione con associazioni, o che questi siano affidati a privati purchè in grado di garantire il benessere degli animali e con l'obbligatorio intervento di volontari, dal questionario dell'Oipa risulta che il 33% dei canili privati non coinvolge affatto i volontari, "in contrasto con quanto prevede la legge, quando invece la collaborazione del terzo settore è per noi fondamentale", specifica Piacenza. Altro dato allarmante riguarda il recupero comportamentale degli animali: il 43% delle risposte denuncia la totale assenza di questa pratica che, invece, se applicata aumenterebbe la possibilità di adozione dell'animale. In più, il 28% ha segnalato strutture con problematiche quali mancanza di benessere dell'animale, sovraffollamento o inadeguatezza. Per arginare il fenomeno "basterebbe estendere e controllare l'applicazione del microchip - spiega il consigliere nazionale Oipa - affidare ai comuni la gestione diretta delle strutture in collaborazione con associazioni ambientaliste e soprattutto eliminare il sistema delle convenzioni per numero di animali ospiti, che incoraggia l'interesse a non dare via i cani o i gatti perché rappresenta un vero e proprio business".

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